Le ricette scientifiche: il pesto (quasi) genovese - Scienza in cucina - Blog - Le Scienze

2022-05-29 08:49:22 By : Mr. Benjamin Zhou

In occasione del pesto day organizzato dal GVCI (Gruppo Virtuale Cuochi Italiani) che si celebra il 17 gennaio 2011 in tutto il mondo, eccovi la ricetta scientifica che uso per preparare il pesto.

Abbiamo già discusso a lungo del basilico e del pesto (incluse le polemiche sul presunto “pesto cancerogeno”) per cui non ripeterò qui i dettagli sugli ingredienti. Se volete potete vedere un filmato sul sito del GVCI su come si prepara il pesto genovese con mortaio e pestello usando la ricetta del consorzio del pesto genovese.

Io possiedo un mortaio, ma confesso di usare un più pratico e comodo frullatore a bicchiere. Ecco perché ho messo quel “quasi” nel titolo: per evitare le ire dei puristi senza se e senza ma.

Abbiamo visto in passato come per un buon pesto occorrerebbe usare del basilico giovane. In questo modo il pesto ottenuto ha un bel colore verde smeraldo. Se però andate in vacanza d’estate e quando tornate trovate nell’orticello un sacco di basilico cresciutello, che fate, lo buttate via perché non rispetta il disciplinare? Certochennò.

Lo raccogliete e lo pesate (io peso tutto quando cucino) per meglio dosare gli altri ingredienti

Poi lo lavate, a patto di farlo asciugare ben bene. Dei residui di acqua possono annerire più velocemente il pesto ottenuto. Sempre i soliti taleb… eehhm, puristi, dicono di non lavare il basilico perché questo toglierebbe dell’aroma. A me questa sembra una sciocchezza. Non basta certo una pioggerellina o l’acqua del lavandino per togliere gli oli essenziali intrappolati nelle foglioline.

Io il basilico lo lavo perché il mio microorticello è popolato di ogni tipo di creature, striscianti, bipedi e quadrupedi. I gatti a volte ci si sdraiano sopra e quindi le foglie si sporcano di terra. Eccolo quindi steso al sole ad asciugare, come nella canzone di Paolo Conte, dopo averlo immerso brevemente in acqua fredda. Fredda mi raccomando. Era un sole settembrino quasi al tramonto quindi non troppo caldo. Non dovete mica cuocerlo il basilico.

Notate vi prego le foglie mangiucchiate dalle lumachine. Certo, si usano anche quelle (le foglie mangiate, non le lumache )

Ora mettete i pinoli (se volete potete anche tostarli un poco, brevemente in una padella antiaderente senza niente altro. Attenti che bruciano in fretta), l’aglio tritato (perché ovviamente nel pesto ci vuole l’aglio ), il sale e il basilico in un frullatore a bicchiere. Quello con le lame in fondo, adatto per preparare frullati.

Ma la ricetta non doveva essere scientifica? Ci arriviamo fratello. Se vi ricordate le lezioni precedenti di pestologia il nemico numero uno di un buon pesto è un enzima chiamato polifenolossidasi. È lui il responsabile dell’annerimento precoce del basilico. Questa molecola usa l’ossigeno presente nell’aria e disciolto nell’acqua (ecco perché si deve asciugare bene) per ossidare dei composti chiamati polifenoli e trasformarli in sostanze nerastre. Questo enzima viene attivato dalle alte temperature. Ecco che abbiamo individuato i nemici: ossigeno e alte temperature.

Quindi è necessario tenere il più possibile il basilico, mentre si prepara il pesto, lontano dall’ossigeno e a basse temperature.

Come facciamo a allontanare l’ossigeno dal basilico? Lo mettiamo sott’olio!

Aggiungiamo quindi l’olio e schiacciamo il più possibile il basilico. Ecco perché preferisco utilizzare un frullatore a bicchiere. Si evita anche di inglobare aria in questo modo.

Per mantenere la temperatura bassa usate olio extravergine tenuto in frigorifero (e magari anche un po’ in freezer. Grazie a Xesko, Chef a Yekateringburg per questa dritta  )

Io raffreddo nel freezer anche l’aglio e il bicchiere, e il basilico in frigorifero prima di utilizzarlo.

Iniziate a frullare a impulsi, non in modo continuo, per evitare che il basilico si surriscaldi troppo.

Fermatevi quando la consistenza è cremosa.

Ora se volete potete aggiungere il formaggio grattugiato (io uso il parmigiano reggiano: i figli non apprezzano il pecorino) e usarlo (per condire delle trenette magari, oppure per fare un disegno per poter fare una foto da mettere in un blog dove parlate del pesto )

Regolatevi come meglio credete sulla "grana": c'è chi la preferisce un po' grossina, chi perfettamente cremosa, a seconda di quanto frullate (ma non esagerate)

Oppure, potete congelarlo in contenitori di plastica, senza formaggio, che aggiungerete quando deciderete di scongelarlo e usarlo

Quando avete voglia di pesto, lo prendete dal freezer (dove dura anche sei mesi),

lo scongelate, aggiungete il formaggio e… buon appetito

P.S. per chi fosse interessato, giovedì 20 gennaio, alle ore 14:30 sono all'Università Milano Bicocca a parlare di Scienza in Cucina.

Venerdì 28 sono a Lugano, all'auditorium dell'Università, alle 20:30

Infine il 5 febbraio sono a Massa

Scritto in Ricetta, Salse | 345 Commenti »

http://upload.centerzone.it/images/20320662072148908825.png

Yop: aspetto le foto della bistecca

Dario, io invece aspetto, se ti è possibile, una risposta alla mia domanda di cui sopra. GRZ

Dario, il prossimo sirloin che metto sulla piastra lo immortalo e te lo invio, spero presto, con quel che costa, c'è la crisi...

Yop: grazie. Servono foto prima, durante e dopo, con dettaglio dell'interno

Dario, scusa. Ci eravamo incrociati e non avevo visto.

Da come me lo descrivi potrebbe essere un aglio salito a seme, cioè dove la formazione dello scapo fiorale possa aver modificato il contenuto degli spicchi. Evidentemente lo scapo è stato tagliato o era ancora interno alle foglie.

Infatti il raggruppamento delle varietà in gruppi ha come elemento caratterizzante la formazione o meno dello scapo fiorale. Ad esempio le varietà mediterranee emettono tutte lo scapo fiorale e mi è stato detto che la capocchia del fiore immaturo è sezionata e usata in cucina in Spagna. Le varietà dell'Europa temperata invece non sviluppano lo scapo fiorale quindi qui non ha il pericolo detto prima. Esisstono però gruppi di varietà mediterranee senza scapo fiorale ed a questo gruppo appartengono anche le varietà cinesi del sud e di Taiwan. I gruppi comunque sono 6 e l'appartenenza ad uno o l'altro è stato determinata da marcatori biochimici (isozyma) o molecolari (RAPD). IN nessuno di questi gruppi però si parla di differenza di gusto degli spicchi.

Le mie conoscenze finiscono qui, mi dispiace.

Dario guarda che anche il basilico di Pra, se lo lasci crescere, finisce col dare un pesto immangiabile (per un genovese, almeno). Credo che la facoltà di biologia qui a Genova avesse fatto uno studio sul pesto qualche anno fa, dove veniva trattato anche questo aspetto, che è esperienza assolutamente comune: hai un'idea della possibile ragione?

Segnalo l'articolo scritto da Damiano Raschellà, pubblicato sul sito di Porthos alcuni anni fa: "Storia di pesto e di basilico". Potrebbe forse contribuire a far chiarezza su alcuni interrogativi e dubbi riguardanti il pesto (ingredienti, protocolli, ecc.) che sono emersi dai post precedenti.

http://www.porthos.it/index.php?option=com_content&task=view&id=366

Vivo a Genova Pegli, vicino a Prà ed il pesto mi piace eccome!! Coltivo il basilico così so quello che mangio. Lo raccogliamo quando la pianta è cresciuta e spuntiamo le piantine senza sradicarle per consentire loro di ricrescere e non dover continuamente seminare il basilico, per cui dura tutta l'estate. Le foglie sono pertanto più coriacee di quelle del basilico giovane (quello che viene venduto a mazzetti) ma è sufficiente scottarle in acqua bollente per pochissimo tempo (una sorta di blanching) che blocca l'attività degli enzimi e così le foglie, più tenere, non anneriscono ed il basilico può essere, dopo una bella strizzata per allontanare l'acqua, messo a congelare. Quando si vuole fare il pesto (sarà sempre alla genovese?) si prendono queste piccole quenelles di basilico scottato e strizzato e si usano al posto del basilico fresco. Oltre alla comodità di averlo sempre pronto, il pesto non risulta scuro, ma di un bel verde brillante e se volete risparmiare (anche se non siete genovesi)provate ad utilizzare le mandorle dolci al posto dei carissimi pinoli. Per quanto riguarda la preparazione della salsa si possono usare sia il mortaio che il frullatore, ma senzaltro con il mortaio le foglioline si "disfano" invece che tagliarsi e la differenza si sente e si vede. Buon appetito a tutti

@ gianni, il pesto sarà sicuramente "alla" genovese, non sarà, invece, "pesto genovese" secondo il disciplinare (vedi post precedenti). Basta che ti piaccia.

ho provato a chiedere ad un grande sommelier di un prestigioso ristorante italiano cosa ne pensava del vino da abbinare al pesto.... questa la sua risposta che voglio condividere con voi.: Io abbinerei (ma sai già che in questo mondo è tutto soggettivo) un Vino bianco di medio corpo, possibilmente con qualche sentore di erba aromatica tipo Pigato per essere nella terra madre, un Greco di Tufo oppure un Verdicchio di Matelica. Tutti i vini non devono essere affinati in legno e devono avere almeno un anno dalla vendemmia

Ma ‘sti Genovesi prima di venire disciplinati dal disciplinare s’ accattavano u pestu zeneize (dalle innumerevoli, se non incommensurabili, varianti) o si scofanavano trofie e pasta condendole col “pesto alla genovese”?

@ alberto, per quanto possa apparirti singolare, anche ben prima del "disciplinare" il pesto fatto dai genovesi-genovesi (eh, sì, perché ci sono anche quelli che proprio genovesi-genovesi non sono; magari abitano a Genova da vent'anni, ma non sono proprio proprio di Genova. Li riconosci dal loro tifo per "i ciclisti" ) è sempre stato proprio quello lì! Certo, soprattutto nelle dosi, ognuno ha le sue prefernze; ma la sostanza non cambia. E poi, infine, chiamalo come vuoi, il pesto: "alla" o "non-alla". Basta che si sappia che è una salsa "a crudo" e che ci siano quegli ingredienti là.

@franco: anche se sono pronto ad incoronarti “pest master” per indiscussa competenza specifica, riguardo agli usi e costumi degli indigeni tuoi concittadini, mi sorge qualche dubbio. A parte il fatto che i genovesi-genovesi saranno quasi come i milanesi-milanesi (ossia una percentuale statisticamente ridotta dei residenti a Genova o Milano) resta comunque ragionevole pensare che prima del disciplinare abbiano praticato costumi indisciplinati E pure dopo oserei dire, perchè mi piacerebbe sapere quanti "abitanti di Genova" lo conoscono (il disciplinare eh) nei dettagli o sanno cos'è una "salsa a crudo". Chissà perché mi immagino che i genovesi (con o senza raddoppio) negli ultimi 50 anni abbiano prodotto e consumato tranquillamente ciascuno il Pesto (con la P) secondo metodi e dosi (che contano assai, sai, sia in culinaria che in tossicologia) simili ma con mille varianti personali, immarcescibilmente convinti di essere i custodi della tradizione sacra ed inviolabile.

@Dario (se non tieni come sicuramente tieni quarche cos' altro da fa'): ma 'sto firewall del menga agisce secondo le inflessibili regolamentazioni del bunga-bunga?

Buonasera, io vivo a Bologna, ma desidero raccontare come l'inizio della mia felice esperienza con il sublime pesto risalga alla mia infanzia, quando "fantella" mi siedevo davanti alla finestra della casa dei miei nonni in campagna a LaSpezia e "pestavo" nel mortaio di marmo le foglioline cimate dalla pianta di basilico (rigorosamente coltivato nelle grandi e colorate latte di alluminio e protetto all'ombra nell'orto). Aglio dell'orto, pinoli comprati dal pizzicagnolo del Borghetto, olio delle 5 Terre e...del mio braccio, che mescolava fino a reggiungere l'esatta cremosità. Guai a lasciare traccia del buon pesto nel mortaio o nel pestello: i residui li leccavo di nascosto o pulivo con il pane. Le lasagne bianche fatte in casa (mandilli) si condivano con abbondante "oro verde", diluito con poca acqua di cottura per la giusta consistenza, oppure se erano trenette si aggiungevano fagiolini e patate. Che meraviglia! Che condimento insuperabile! A Genova, e poi concludo, c'è una pizzeria vicino a Deferrari (via Dante) che fa una "superba" pizza al pesto...

@ albero, ma certo! Io faccio finta di essere un Torquemada inflessibile e intransigente; fa un po' parte del cliscé che mi sono ritagliato, ridendo e scherzando, qui, in questo meraviglioso blog (che, lo ammetto, Dario, esigerebbe un maggior rispetto da parte mia... ). Così "faccio la parte" del genovese duro e puro, rompiballe e taccagno, mugugnone e conservatore accanito della più pura e religiosa delle tradizioni patrie. In realtà....... sono un mollaccione cui tutto va bene.

In altri termini, il pesto fatelo come vi pare e piace. L'importante è che vi piaccia. E se infrangete le regole, chissenef...

A me piace quello che si fa nella mia famiglia. E anche quello che, a volte, acquisto già fatto da parte di un'aziendina artigiana genovese. Disciplinare o no.

(ma tu, alberto, son certo che tutto questo l'avevi già capito. O no?)

dariooooo, ma è pazzesco questo antispam! (o sei tu che, di volta in volta, banni i post che non ti sfagiolano???)

@ patrizia, sarà.... ma a me la pizza al pesto, se il pesto viene cotto (e mi pare che quella ben nota trattoria di Piazza Dante lo faccia cuocere) mi pare un errore da matita blu, ancor più che un abominio culinario.

Questa "sbandata" è nata come cosa "di moda" e null'altro; ma per fortuna non ha attecchito quasi niente.

Altra cosa sarebbe, come una volta confessò di fare Dario, mettere il pesto sulla pizza, ma senza cuocerlo. In questo caso... autorizzo!

Offertona LIDL 185 g (comprensivi di vasetto in vetro) di pesto in 2 versioni: rossa e verde (per quella blu, attendiamo fiduciosi) a soli 0,99 €, buon appetito pest-master

Per il piacere della precisione, i"mandilli de sea" al pesto sono lasagne sottili, lessate in acqua e sale come si fa per le pasta, scolate alla cottura e condite subito con il pesto. Differenti sono le lasagne al pesto, prima lessate e poi messe il teglia con condimento di pesto scilto in besciamella e cotte poi nel forno. A me piacciono poco cotte in quanto il pesto se è scaldato si denatura. Per cui preferisco senzaltro i mandilli de sea alle lasagne al forno, ma comunque mi adatto a tutto quello che cucina mia moglie............ Ciao, gianni

Per quanto riguarda la pizza al pesto, ricordo di averla assaggiata in una pizzeria di Sampierdarena ed il pesto non era cotto, ma sciolto nello stracchino e probabilmente rimesso in forno per pochissimo, naturalmente previa cottura della pizza senza condimento. Il poco tempo di reinserimento in forno dopo l'aggiunta del pesto e stracchino, consentiva lo scioglimento del condimento ed una leggera scaldata dello stesso. A me è piaciuta molto.

@ gianni, sulle lasagne: per il piacere della precisione?? ma, scusa, chi te l'ha detto che le "lasagne al pesto" sarebbero solo quelle al forno?? Figuriamoci! Se non lo precisi, al ristorante, non ti danno certo quelle al forno! Neanche per idea. Ti danno lasagne bollite in acqua salata e condite.

Le lasagne son lasagne; bianche e condite. A Genova come altrove; (la festa delle lasagne, a Genova, è il 6 gennaio: "Epifània, bianca lasàgna"). Qui da noi, sì, sono particolarmente sottili ("eredità" dell'entroterra del Levante, credo) e le chiamiamo, noi, "mandilli de sèa" = fazzoletti di seta. Ma nessuno si scandalizzerebbe se le chiamassimo semplicemente "lasagne" tout-court. Perché... sono solo e semplicemente "lasagne". Prova in qualsiasi trattoria e/o ristorante e vedrai.

Se vuoi le "lasagne al forno al pesto" devi dirlo espressamente: "al forno".

Quanto alla pizza di cui parli, giusto! Pesto al max intiepidito. Mai cotto.

" Ti danno lasagne bollite in acqua salata e condite." cioè poi non ripassate al forno? ho capito bene che lì ti danno una robba che osano chiamare LASAGNA e poi è solo bollita? Spock! cancellare l'itinerario dal navigatore!

dove per LASAGNE vale solo e unicamente la peculiare cottura al FORNO (da cui anche la fondamentale, ancestrale, fondamentale, Pasta al forno), lo sanno anche quei sempliciotti di http://it.wikipedia.org/wiki/Lasagne_al_forno Il resto sono solo velleità regional/nazionalistiche prive di qualsiasi valore gastronomico, tipo i fettucciniAlfredo ammeregani, o altre preparazioni, tipo la biasimevole "Pasta a Strati col Pesto bollita in Liguria", ma che nulla hanno a che spartire con la sacra, unica, invincibile LASAGNA EMILIANA.

aspetta Franco! prima di duellare con te debbo nutricare il mio selvaggio destriero! colle lasagne bollite avanzate...

Per fortuna le lasagne al pesto, a Genova, "...nulla hanno a che spartire con la sacra, unica, invincibile LASAGNA EMILIANA. "

Bravo, Yop, hai capito e non l'avrei creduto! Bravo! Vedi che, se t'impegni e ti sforzi, anche tu qualcosa arrivi, a poco a poco, a capirlo!

eh Franco, con la scusa della ricetta regionale voi Genovesi volete fare i gourmet, invece è solo per non accendere il forno. Costa il gas! costa la luce! lasagne bollite, e anche belle al dente, stop!

Pfui! Macché gas, che forno, che luce! Io, di solito, chiedo al vicino se mi fa la cortesia........ Non si rifiuta mai. (Non è genovese)

Anche a casa mia (in veneto quindi ben lontano da Cifattopoli) "lasagne" era il nome che indicava una tipologia di pasta identificabile con le tagliatelle emiliane e producibili sia con un accorto taglio a coltello della "sfoja" arrotolata sia con la macchinetta, e le "lasagne al forno", molto più simili alla preparazione culinaria descritta dal signor yotrollo; condimenti d'uso: ragù di coniglio, di anitra, o in stagione piselli novelli per le "lasagne", ragù misto manzo/maiale, besciamella e parmigiano per le "lasagne al forno". Le "taiadele", invece, erano i tagliolini, per i quali invece era quasi obbligatorio l'uso della macchinetta. Questi venivano RIGOROSAMENTE consumati in brodo, eventualmente con l'aggiunta direttamente nel piatto di una cucchiaiata abbondate di fegatini e rigaglie di pollo stufati a parte, prendendo il nome di "taiadele coi figadini", specialità rinomata nelle trattorie di bassa lega che abbondavano nelle campagne locali. Da quanto mi risulta, infine, non c'è stata nel nome della pasta nessuna direttiva IUPAC che abbia regolarizzato in modo univoco l'abbinamento dei formati con i nomi, quindi con buona pace del signor yotrollo, se l'abitante di Cifattopoli si decide di venire a Nizza ci mangeremo un bel piatto di LASAGNE AL PESTO. Non le innaffieremo comunque con il Poilly Fumè, dato che me l'avete cassato... Dato che ci vuole un vino poco profumato e con poco corpo, altrimenti potrebbe interferire con il profumo del Pesto, sono sicuro che l'ospite arriverà con un brick di tavernello (che costa poco e scaraffato fa comunque la sua porca figura), confermando così l'opinione dei genovesi più volte espressa da yotrollo.

Infine, per tornare IT: ma da quando mai il tonno al CO non si trova nei supermercati? Io lo trovo tuttora.. http://www.flickr.com/photos/paoloarosio/48397219/

"Anche a casa mia (in veneto quindi ben lontano da Cifattopoli) “lasagne” era il nome che indicava una tipologia di pasta identificabile con le tagliatelle emiliane"

invece a casa di Ahmed, lasagna, scritto la-sa-gna e pronunciato la-zah-niagh, sta a indicare il cuscus al formaggio di zebra. Con ciò non vogliamo dire che il sig. Ahmed non abbia il perfetto diritto soggettivo di chiamare e considerare lasagna il cuscus al formaggio di zebra, e invitare i parenti a pranzo annunciando felice: "Venide amigi! Vi ho brebarato la la-zah-niagh!" Vogliamo solo ricordare di come la lasagna sia uno e un solo formato di pasta lungo, piatto e a banda larga, sovente confuso con la pappardella e la tagliatella larga, figurante in quasi tutti i ricettari delle Regioni d'Italia, la cui preparazione d'elezione, o morte sua, consiste nello sdraiarlo, dopo opportuna scottatura in acqua bollente, nelle teglie da forno più o meno pasticciato con ragù e besciamelle (e mozzarella e ricotta e salsiccia e polpettine e ova sode o solo bollito con aggiunta di una poltiglia verdastra nelle Regioni meno fortunate ).

bravo yotrollo! diccelo a quelli lì che la teglia da forno serve per mandare in forno!

Dopo l'illuminante intervento del nostro dotto Collega Yotrollo mi tocca riconoscere, con una punta d'amarezza, che i miei concittadini genovesi sono assai male informati e vivono, da decenni, nell'errore.

Essi credono, beata ignoranza!, di potersi cibare di lasagne (opportunamente cotte) semplicemente sciorinate nel piatto e cosparse di generoso pesto. Senza, prima, cioè, averle adagiate in teglia da forno per una cottura nello stesso. Dannati deficienti! E sì che sarebbe bastato chiedere in Isvizzera; non è poi così lontana.

Dovrò adoperarmi per risollevarli a nuove vette di cultura culinaria.

E sì la lasagna è solo una ed quella al forno. Sulle dimensioni della pasta ho conocsciuto una "resdora" che lavorava sfoglie della dimensione esatta della teglia che le dovevano contenere. Scopo? Evitare le sovrapposizioni di pasta nelle giunzioni che inevitabilemente si formano quando si accostano le diverse strisice di sfoglia per formare gli strati che devono essre in numero minimo di cinque (almeno qui in Emilia). Un atto di estrema perfezione . Riguardo alle cosidette lasagne al pesto conosco solo quelle del tipo descritto da Cifatte.

"E sì la lasagna è solo una ed quella al forno". Ipse dixit. Dopo la Svizzera, l'Emilia. Tutti competenti su Genova. Non l'avrei mai sospettato.

Te bota, Frank: derivano tutte dalle "laganae" romane, e se Yotrollo si agita troppo, proponigli di farle al garum, e vedrai che sparisce...

Ricordo le rimostranze suscitato in un mio conoscente (bolognese come me), nato ai primi del Novecento, quando gli servivano lasagne con la besciamella. Lui sosteneva che le vere lasagne bolognesi comprendono solo sfoglia (verde), ragù e parmigiano.

In effetti, spesso si esagera con la besciamella, che toglie equilibrio al piatto. Quando poi, come a San Giovanni in Persiceto, si mescolano ragù e besciamella... che pasticcio!

http://bulaggna.jimdo.com/cucina-bolognese/lasagne-verdi-alla-bolognese/

In Romagna il termine "lasagne asciutte" indica le tagliatelle al ragù.

@ ciao, zeb, ben ritrovato! Credo che "làgana" sia già un plurale, derivante da "làganum" (latino) o "làganon" (greco). Una volta un mio amico cuoco mi fece le "làgana" con crema di ceci e gamberetti. Accostamento... un po' ardito, ma non male. Già...mumble mumble... col garum... chissà?

@ Carlo, una chicca che stava per sfuggirmi: "...Riguardo alle cosidette lasagne al pesto conosco solo quelle del tipo descritto da Cifatte." Splendido splendente! "Cosiddette" !! Mi ricorda le "Cosiddette Signore"... come le ha recentemente chiamate Quello là! Va di moda?

ecco! anche l'etimologia è chiara Franco! sia nel latino che nel greco http://www.sintagespareas.gr/sintages/lagana.html si sente bene il significato tedesco "legen, liegen": giacere, distendere, essere disteso, etc. E poi infornare!

Yop, ho il vago sospetto che tu ti stia cimentando in un'ardita arrampicata sugli specchi. Il link che mi hai messo è in greco moderno; e, in tal caso, anche gli accenti mutano. Vi si descrive, poi, la moderna "lagàna" che altro non è che un pane lievitato; una pagnottella che, prima della cottura, può essere anche alta un dito (e ben lo sapevo che, oggidì, la lagàna moderna, in Grecia, è un pane). Ma, soprattutto, non v'è traccia di etimologia.

Tuttavia, volendoti venire incontro, accetto di buon grado il tuo sesto grado germanofono: le nostre lasagne genovesi, bianche e senz'ovo, morbidamente e languidamente vanno infatti distese nel piatto, prima d'esser ricoperte di delizioso pesto. Io, poi, vizioso, le cospargo ulteriormente di parmigiano.

Ma lascio il forno ben spento.

E comunque, se nella teglia da forno ci prepari il tiramisù per 16 persone, ti voglio vedere a metterla nel forno, a prescindere dall'etimologia! Franco, quando vieni a nizza? Non menare il camallo per il porto!

Chino, verrò sicuramente. Ma questo, per motivi particolari, non è il momento. comunque, non ho né la tua mail, né indirizzo o altro...

Lungi da me la presunzione di capirne di cose liguri, figurati fatico a capirne di cose reggiane o modenesi ….. Però riguardo alle lasagne, piatto cucinato non solo in Emilia ma in tutta la penisola con molteplici varianti, una procedura comune a tutte le preparazioni, oltre alla stratificazione in teglia della sfoglia e del condimento, è la cottura finale in forno. Per la lasagna nella cucina ligure, ritiro il termine “cosiddette” più che altro per allontanare dalla mia persona imbarazzanti apparentamenti , il termine “lasagna” l’ho trovato riferito in modo non molto proprio, secondo il mio sentire naturalmente, ad una preparazione che ha come condimento un sugo a base di funghi porcini utilizzato per condire delle losanghe di sfoglia (lasagne) più simili, per forma e dimensione, alle pappardelle toscane. Le lasagne al pesto le ho sempre trovate indicate con il termine di “lasagnette”, oppure più propriamente, per l’appunto, “Mandilli de sea”. Il già da me citato Allan Bai rende però anche conto di una preparazione delle lasagne al pesto con la besciamella e la cottura finale in forno. Chiudo la “querelle” ricordando che Gualtiero Marchesi si è reso famoso anche per un piatto denominato “raviolo aperto”, costituito da due quadrati di sfoglia che, semplicemente sovrapposti l’uno all’altro, contengono il ripieno e che nulla ha a che fare, nemmeno nella forma, con il classico raviolo così come tradizionalmente lo si intende, ma che nella preparazione presenta somiglianze con quella propria della lasagna al pesto ligure. Questioni squisitamente terminologiche o di sostanza? Comunque sia le lasagne al pesto costituiscono un piatto prelibato, “chapeau” alla cucina ligure .

Lungi da me la presunzione di capirne di cose liguri. Figurati fatico a capirne di cose reggiane o modenesi ….. Però riguardo alle lasagne, piatto cucinato non solo in Emilia ma in tutta la penisola con molteplici varianti, la procedura comune a tutte le preparazioni, oltre alla stratificazione in teglia della sfoglia e del condimento, è la cottura finale in forno. Per la lasagna nella cucina ligure, ritiro il termine “cosiddette” più che altro per allontanare dalla mia persona imbarazzanti apparentamenti , il termine “lasagna” l’ho trovato riferito in modo non molto proprio, secondo il mio sentire naturalmente, ad una preparazione che ha come condimento un sugo a base di funghi porcini utilizzato per condire delle losanghe di sfoglia (lasagne) più simili, per forma e dimensione, alle pappardelle toscane. Le lasagne al pesto le ho sempre trovate indicate con il termine di “lasagnette”, oppure più propriamente, per l’appunto, “Mandilli de sea”. Il già da me citato Allan Bai rende però anche conto di una preparazione delle lasagne al pesto con la besciamella e la cottura finale in forno. Chiudo la “querelle” ricordando che Gualtiero Marchesi si è reso famoso anche per un piatto denominato “raviolo aperto”, costituito da due quadrati di sfoglia che, semplicemente sovrapposti l’uno all’altro, contengono il ripieno e che nulla ha a che fare, nemmeno nella forma, con il classico raviolo così come tradizionalmente lo si intende, ma che nella preparazione presenta somiglianze con quella propria della lasagna al pesto ligure. Questioni squisitamente terminologiche o di sostanza? Comunque sia le lasagne al pesto costituiscono un piatto prelibato, “chapeau” alla cucina ligure .

Ho provato a postare per Franco Cifatte senza riuscire e ho il timore di aver duplicato più volte il testo.

Riprovo nel caso se è possibile, eliminare il surplus...

Lungi da me la presunzione di capirne di cose liguri. Figurati fatico a capirne di cose reggiane o modenesi ….. Però riguardo alle lasagne, piatto cucinato non solo in Emilia ma in tutta la penisola con molteplici varianti, la procedura comune a tutte le preparazioni, oltre alla stratificazione in teglia della sfoglia e del condimento, è la cottura finale in forno. Per la lasagna nella cucina ligure, ritiro il termine “cosiddette” più che altro per allontanare dalla mia persona imbarazzanti apparentamenti , il termine “lasagna” l’ho trovato riferito in modo non molto proprio, secondo il mio sentire naturalmente, ad una preparazione che ha come condimento un sugo a base di funghi porcini utilizzato per condire delle losanghe di sfoglia (lasagne) più simili, per forma e dimensione, alle pappardelle toscane. Le lasagne al pesto le ho sempre trovate indicate con il termine di “lasagnette”, oppure più propriamente, per l’appunto, “Mandilli de sea”. Il già da me citato Allan Bai rende però anche conto di una preparazione delle lasagne al pesto con la besciamella e la cottura finale in forno. Chiudo la “querelle” ricordando che Gualtiero Marchesi si è reso famoso anche per un piatto denominato “raviolo aperto”, costituito da due quadrati di sfoglia che, semplicemente sovrapposti l’uno all’altro, contengono il ripieno e che nulla ha a che fare, nemmeno nella forma, con il classico raviolo così come tradizionalmente lo si intende, ma che nella preparazione presenta somiglianze con quella propria della lasagna al pesto ligure. Questioni squisitamente terminologiche o di sostanza? Comunque sia le lasagne al pesto costituiscono un piatto prelibato, “chapeau” alla cucina ligure .

Ho riprovato, niente da fare

@Franco: giusto giusto 2 giorni fa ho adocchiato tra i contenitori refrigerati di un supermercatino genovese un barattolo prodotto da nota azienda semi-artigianale ligure con dicitura in bella evidenza: PESTO GENOVESE da basilico D.O.P senz'aglio (quest' ultima nota all' interno di un rettangolo evidenziato in rosso)

Sei sicuro? Senza nessun "alla"? Perché ne ho visto tanti, ma nessuno con una dicitura così scorretta.

C'è un'aziendina, ad esempio, che vende barattolini di "Pesto Genovese" BELLO GROSSO (con aglio) e barattolini uguali con scritto "Pesto" con "Basilico Genovese" BELLO GROSSO (senza aglio, IN ROSSO). Se non si sta attenti, ci si casca; sembravo uguali anche le diciture.

Lungi da me la presunzione di capirne di cose liguri. Figurati fatico a capirne di cose reggiane o modenesi ….. Però riguardo alle lasagne, piatto cucinato non solo in Emilia ma in tutta la penisola con molteplici varianti, la procedura comune a tutte le preparazioni, oltre alla stratificazione in teglia della sfoglia e del condimento, è la cottura finale in forno. Per la lasagna nella cucina ligure, ritiro il termine “cosiddette” più che altro per allontanare dalla mia persona imbarazzanti apparentamenti , il termine “lasagna” l’ho trovato riferito in modo non molto proprio, secondo il mio sentire naturalmente, ad una preparazione che ha come condimento un sugo a base di funghi porcini utilizzato per condire delle losanghe di sfoglia (lasagne) più simili, per forma e dimensione, alle pappardelle toscane. Le lasagne al pesto le ho sempre trovate indicate con il termine di “lasagnette”, oppure più propriamente, per l’appunto, “Mandilli de sea”. Il già da me citato Allan Bai rende però anche conto di una preparazione delle lasagne al pesto con la besciamella e la cottura finale in forno. Chiudo la “querelle” ricordando che Gualtiero Marchesi si è reso famoso anche per un piatto denominato “raviolo aperto”, costituito da due quadrati di sfoglia che, semplicemente sovrapposti l’uno all’altro, contengono il ripieno e che nulla ha a che fare, nemmeno nella forma, con il classico raviolo così come tradizionalmente lo si intende, ma che nella preparazione presenta somiglianze con quella propria della lasagna al pesto ligure.

Questioni squisitamente terminologiche o di sostanza?

Comunque sia le lasagne al pesto costituiscono un piatto prelibato, “chapeau” alla cucina ligure

Sorry per le ripetizioni immaginavo nisse così

@ Carlo, innanzitutto forse sono stato scortese con te e ti chiedo scusa. Ho capito il tuo punto di vista. Che non riflette solo la tua esperienza.

Tuttavia, qui dalle mie parti, le "lasagne al pesto" (diffusissime) in via tradizionale sono le classiche, vere e proprie lasagne (di solito quadrate, circa 10x10 se secche; anche molto più larghe se fresche), bianche o all'uovo, che - una volta cotte in acqua come l'altra pasta - vengono semplicemente condite col pesto e consumate così. Nei ristoranti le trovi in via normale. Magari, siccome si rompono, in menù le chiamano "lasagnette", ma la sostanza vera non cambia affatto. Questo da decenni e decenni. Ricordi che Fabrizio de André in una sua canzone parlò di "Lasagne da fiddià..." ? Ecco, quelle lì. A Genova, si chiamano comunemente "lasagne". L'appellativo poetico "Mandilli de sèa" (di origine del Levante Ligure) abbellisce il concetto, ma non lo soppianta!

Le "lasagne al pesto al forno" sono invece una cosa molto più recente; io credo che non risalgano a più di un trentacinque max quarant'anni fa. E questo perché il pesto NON va cotto! Infatti, nel forno, di solito, viene mescolato con un po' di besciamella che, in un certo senso, lo protegge un poco. Anche se mai del tutto. Ripeto: costituiscono un'usanza gastronomica relativamente vicina nel tempo. Ed è anche difficile trovarle "alla carta" nei ristoranti: vanno fatte lì per lì perché, se diventano fredde, è quasi impossibile riscaldarle.

Mi rendo conto che in altre regioni d'Italia le cose stiano differentemente. In Emilia-Romagna, soprattutto, "la lasagna" (altrove "il pasticcio") è solo quella al forno. Qui, no.

Darioooo, ancora un blocco. Per favore, liberami!

Quando si viene intrappolati dall'antispam, NON mandate messaggi doppi, perché lui se lo ricorda e rischiate di finire nella lista nera. Avvisate che prima o poi vi sblocco

Antispam str..o e vendicativo, pure! Bell'amico ti sei scelto.

puoi scrivermi (tu e chiunque altro blogger, compreso yotrollo) a lmtrashmail@infinito.it ...

@franco: nessun "alla". Però quello con l' aglio è buono tanto quanto i pomodoretti pachinesi

@chino se continui a chiamarmi yotrollo io ti appellerò mes-chino. Giurin giurella.

Non dicevo a te, ma a quell'altro che ha postato la storiella sul pesto arabo...

Ottime le indicazioni di massima, ma preferisco preparare prima un trito nel frullatore con il formaggio, aglio e pinoli, poi aggiungere le foglie di basilico, coperte dall'olio

Mi inserisco buon ultimo perché solo da poco ho letto il post. Da tempo preparo un ottimo pesto in modo simile, con il frullatore, ma con un procedimento ancor più veloce. Pur non attendendo che il basilico si asciughi, ho sempre ottenuto un pesto chiaro, che non annerisce. Aggiungo anzi un pochino di acqua, sotto forma di cubetti di ghiaccio, con un duplice scopo: mantengono bassa la temperatura senza dovere preraffreddare i componenti e favoriscono una frantumazione delle foglie in modo che risulti più vicina nell'aspetto a quella che si ottiene usando il mortaio. Una tendenza ad annerire della salsa è avvertibile se si conserva per un po' il pesto senza unire il parmigiano, ma a parmigiano aggiunto il colore della salsa diventa stabile anche per qualche giorno. Per spingere un po' il gusto, affinché coloro che non amano il pecorino non possano avvertirne la componente aromatica a loro sgradevole, lo aggiungo in una misura non superiore al 30%. Ma si può arrivare anche al 50% se si utilizzano pecorini (non propriamente sardi) preparati con latte di pecore che trasferiscono meno i sentori di pascolo nel loro latte, come le pecore di razza langarola. Un saluto, Remo

remo: anche altri hanno raccontato di usare il ghiaccio. Ma cosi' non si annacqua il pesto?

Tre o quattro cubetti di ghiaccio, più l'acqua residua del lavaggio (comunque il basilico lo faccio scolare bene) sono una quantità minima rispetto a quella dell'olio, non avvertibile a salsa completata. Lo stesso basilico, non è fatto fondamentalmente di acqua? La tecnica mi è stata suggerita da uno chef, di quelli che non amano far propri in modo acritico i tanti procedimenti privi di valore scientifico che circolano in quel mondo. Altra accortezza, la velocità di esecuzione: i componenti, preparati e pesati separatamente, devono rimanere meno possibile a contatto con l'aria ed a contatto tra loro prima che si frulli velocemente il tutto. Cambiando la tecnica, può rendersi necessario un aggiustamento delle dosi, che ognuno metterà a punto secondo i propri gusti. Remo

Tre quattro cubetti di ghiaccio a lume di naso dovrebbero corrispondere a circa 1/2 bicchiere d'acqua. Ora naturalmente tutto sarà proporzionato alla quantità complessiva di pesto che normalmente prepari, ma se rapporto tale quantità d'acqua alla quantità di pesto che normalmente preparo io in una sola volta (per 6/8 persone), questa mi risulta un po eccessiva ?.?

"E a 'ste panse veue cose ghe daià cose da beive, cose da mangiä frittûa de pigneu giancu de Purtufin çervelle de bae 'nt'u meximu vin lasagne da fiddià ai quattru tucchi paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi".

Ho cercato di capire come si preparano le "lasagne ai quattro sughi" citate nel testo di De Andrè e l'unica indicazione che sono riuscito a reperire è la seguente ricetta:

http://www.italmensa.net/ricetta.asp?id=629

E siccome mi piacerebbe provare a cucinarle ti chiedo di confermarmi se la ricetta corrisponde alla tradizione ligure/genovese oppure, in caso contrario, se sei puoi indicarmi dove reperire informazioni attendibili in merito alle modalità di preparazione di questo piatto. Mi faresti una grande cortesia

Sono caduto nelle grinfie dell'antispam chiedo di essere liberato grazie

Riguardo al testo di De andrè sopracitato segnalo anil seguente link pù completo del primo:

http://www.italmensa.net/menu_1.asp?id=90

@Carlo Non mi fiderei di de André come fonte di ricette tradizionali... visto che la "lévre di cuppi" (=lepre dei coppi) è un animale non ben definito ma che, secondo me, miagola.

non mi fiderei troppo di De André come fonte di ricette tradizionali, visto che la non meglio precisate lévre de cuppi (lepre delle tegole) è un animale che miagola.

In passato, quando manco si sapeva che esistevano Pigato, Vermentino & c in Lunigiana i testaroli al pesto si accompagnavano con vinelli locali piuttosto asprigni e spesso (povresse oblige) col "torchiato", ottenuto dalla spremitura delle vinacce, o addirittura con la "vineta", fatta aggiungendo acqua alle vinacce e lasciando più o meno fermentare per qualche giorno. Sicuramente il sapore di questa bevanda non prevaricava sul pesto, e in estate, fresca di cantina, non era neanche male. Ora simili prodotti non si trovano più, solo roba DOP, DOC, IGP, e quindi si deve ripiegare sui consigli dei sommelier.

@Dario è sparito un mio commento... non era certamente fondamentale, ma..

bisognerebbe fare misurazioni puntuali, che non ho mai fatto, ma se verso in 1 bicchiere (quanto contiene 1 bicchiere da cucina? Affermazione generica anche questa: ne trovi da 120-150 cc, fino a 250 cc e più), nel bicchiere che uso di solito (circa 240 cc), 4 cubetti di ghiaccio, una volta sciolti il livello non supera il dito di altezza. Tentativamente: quanto sarà grande un cubetto di ghiaccio? Un cubo di 2 cm di lato? Fanno 8 cc. Moltiplicato per 3-4 cubetti fanno 24-32 cc. Mi quadra: nel (mio) bicchiere, neanche un dito d'acqua.

@ exCommesso, sì, sono d'accordo con te: non mi fiderei troppo di Fabrizio come esperto di cucina tradizionale genovese. Ma, forse, la mia diffidenza (sarebbe lunga, ora, spiegare su cosa si basi; Fabrizio lo conoscevo di persona, ma mille anni fa...) potrebbe essere eccessiva: so che, col tempo, Fabrizio s'era appassionato anche a queste cose... Mah, chissà?

@Franco Io mi riferivo semplicemente al fatto che la lepre dei coppi mi sembra una tradizione vicentina piuttosto che genovese

Che il gatto sia stato in passato protagonista di preparazioni culinarie è un fatto testimoniato in quasi tutte le regioni italiane, basti pensare al detto "vicentini magnagatti", e anche dalle mie parti i fioranesi, abitanti di Fiorano Modenese, venivano chiamati i "gattaun" i gattoni, perché pare non esitassero a cibarsi delle carni del gatto. Riguardo alla fondatezza dei testi di De Andrè, in particolare al riferiemento alla lepre dei coppi in agrodolce, non saprei dire, mi sembra però che lo abbiano preso maledettamente sul serio.

http://www.wikideep.it/cat/cucina-ligure/?pg=3&start=30

Io dal canto mio ero interessato a verificare l'effettiva esistenza di una ricetta per le lasagne ai quattro sughi

@ Carlo, dopo aver risposto a exCommesso, vengo a te. Fabrizio usava un genovese volutamente e ricercatamente un po' in disuso. Era un vezzo artistico, e glielo perdoniamo. Ho già scritto altrove, in questo blog, che - secondo me - un genovese che abitualmente senta e parli il nostro dialetto s'accorge in un amen che Fabrizio non lo parlava d'abitudine. Potrebbero confermarlo le sue origini famigliari.

E veniamo a noi: "Lasagne da fiddià ai quattru tucchi" significa: "Lasagne (fatte) da(l) pastaio, ai quattro sughi". Ora, se tu cerchi con Google, per il famoso copia-incolla troverai che quasi tutti scrivono che "da fiddià" vorrebbe dire "da tagliare". Sciocchezza senza senso. In genovese "da tagliare" si dice "da taggiâ". Il "fiddiâ" (termine disusatissimo, risalente al secolo XIX) era quello che faceva i "fidé", i fidelini, la pasta "de impastòu", la pasta fresca.

Circa i "quattru tucchi", non saprei che dire. In sé, significa "quattro sughi" ma, oltre al "tùccu de carne" e al "tùccu de funzu" (fungo), a che io sappia restano solo il tuccu de cuniggiu e i sughi di cacciagione: "tuccu de lévre". "de cinghiale" e così via. Non mi risulterebbe che, a Genova, esistano quattro-dico-quattro tùcchi codificati, diffusi e/o abituali. Mah? Chissà a quali si riferiva De André. Fabrizio, peraltro, dopo, si riferisce esplicitamente al "tuccu de lévre de cuppi" (lepre delle tegole). Così erano scherzosamente chiamati i gatti, finiti in pentola a far le veci del coniglio o della lepre. Se ben cucinati..........sai com'è...!

La ricetta che mi hai linkato non parla di questi famosi quattro sughi. Anzi, parla del pesto, che fa storia a sé (come abbiamo mille volte detto).

Mi è venuto un dubbio, proprio mentre scrivevo: che non si tratti di un errore (di Fabrizio) nello scrivere in genovese? Mi spiego: Fabri usa la "u" (suono tipico genovese) un po' a casaccio. Ad esempio, nella canzone, scrive "PUrtufin", mentre non v'è Genovese che dica così: noi diciamo "POrtufin". E suo figlio, Cristiano, quando canta corregge il papà, pronunciando "POrtufin", con la "o" e non con la "u". Ora, mi sono domandato, non avrà mica voluto scrivere "tOcchi" invece di scrivere "tUcchi" ? In quest'ipotesi (è una pura ipotesi, eh) il significato sarebbe "ai quattro pezzi", nel senso che le lasagne si tagliavano - vedi come ci si ricollega a sopra? - in quattro pezzi ? Be', io non lo credo. Ma, forse, non si potrebbe escluderlo del tutto; chissà?

Infine, la ricetta vera è banalissima: prendi delle belle lasagne, buone, anche se acquistate già pronte. Condiscile bene (meglio con un buon pesto) e.......gnam! Come direbbe il vecchio, buon XeskoChef da Ekaterinburg.

Ah, Carlo, una doverosissima precisazione: nella cucina genovese e/o ligure NON, ripeto NON, esiste da nessuna parte l'utilizzo del gatto! Va' tranquillo. Non esiste. Mai sentito, neppure in lontanissima ipotesi.

E, se qualcuno lo scrive, è una scemata (termine soft)

Grazie per le precisazioni. Sulle lasagne ai quattro sughi rimango un poco deluso, riguardo al gatto non mi ha mai memmeno sfiorato il dubbio che convenzionalmente se ne potesse fare un uso culinario .... rimangono le testimonianze storiche tramandate dai racconti popolari.

@ Carlo (e exComm), un ricordo personale. Quand'ero (o fui? o fui stato?) giovane, frequentavo alla sera una vecchia, sordida, trattoria del centro storico di Genova. Trattoria è già tanto. Era quella, classica, bettola che Fabrizio ha molte volte cantato nelle sue poesie; dove incontravo ogni notte una feccia vivente, spesso rantolante e ubriaca, ma dagli aspetti di dolcissima e insospettabile umanità. Erano anni in cui la droga non era diffusa: ma, là, c'erano drogati algerini, ex-galeotti, vecchi pensionati abbandonati dal destino, marinai rincoglioniti dall'alcol... Be', non devo essere io a ricordarvele, quelle struggenti canzoni. Ma eravo/sono vere al di là del verosimile. Le ho vissute. Ieri, ma mi par oggi.

La cuoca (cuoca? esagero) di questi fornelli era una vera megera, uscita da una favola horror. Mi voleva bene. Spesso non pagavo neppure. Il suo piatto che preferivo erano... le uova al tegamino. Mai più mangiate di così buone. Ma... ecco lì! Diceva, e si vantava, la pazza!, di essere una vera specialista nel cucinare i gatti! Gatti che, a suo dire, andavano trattati in maniera differente, ai fornelli, a seconda della razza: i siamesi in un modo, i vattelapesca in un altro e, specialmente, i randagi in un altro ancora. Durante l'ultima guerra, mi raccontò, i gatti l'avevano letteralmente salvata! Ne aveva mangiato lei stessa, ne a veva cucinato in continuo per i suoi clienti. Non v'era più un gatto a pagarlo, dalle sue parti! Né in tutto il quartiere!

Lei, in compenso, aveva le braccia scheletriche piene di cicatrici perenni...

eri, eri giovane, Franco. Imperfetto indicativo che indica un'azione o fatto protratto nel passato, ma tu lo sai benissimo... Per quando riguarda la vecchia cucinatrice di gatti, se non fosse morta, passassi io da quelle parti, non avrei nessun problema a piantarle un paio di .357 Magnum in faccia, che chi cucina i gatti non merita di vivere.

Yop, mi pare imperfetto l'imperfetto, ché non perfettamente esprime ciò che perfettamente fu ma ora imperfettamente è, né perfetto sarà più.

Yop no magnaigat! MgnagliYak! Li sbrana in biziclatta! Magnaraaaat!

E se non son stato chiaro, è perché mi tergevo ancora le lagrime dal racconto di Frank...

zeb! vecio petegiòn! ta set ammò vif?!

Lo sapete il proverbio del mese vero? Dice : FEBBRAIO GATTAIO

Affumicat! Per ora vegeto, ma fra un po' spero di avere il collegamento nella nuova casa, e allora poveriavvoi! E se petegion o cuml'è cs'accenta e febbraiogattaio significano quel che par di capire a me, siete invitati a magnar fagioli e coniglio in quel sit di Contrada Campi, Loiano... (invito estensibile, s'intende...)

grazie zeb! per i fagioli è ok, ma al coniglio preferiressi un paio o dieci di costicciole di porcello (non per sfiducia eh!), così che intanto che il nostro buon Guidorzi ci racconta qualche aneddoto del milione che ne sa, io me le spolpo. Ma di vino ce n'hai?

certo che ce l'ha di Pignoletto non è mai senza, al limite però possiamo sempre andare al Bar ristorante Benvenuti, vero zeb?

A proposito di porcello, un macellaio burlone che veniva alle case una volta, ammazzò un maiale e, fatte le mezzene,svuoto il mezzo cervello e vi incastrò dentro una mela. All'arrivo della massaia le mostrò la cosa, al che lei si rivolse a suo marito così: Bortolo, tu che non mi credevi quando ti dicevo che il nostro maiale mangiava di tutto, hai visto?

@ yop : dopo l'opera della .357 Magnum ti darei volentieri un aiuto a far poltiglia dei miserabili! @ franco: anche poeta, mi diventi! che direbbe Popinga (ormai sparito nel mondo di FB)? @ zeb: sono invitata anch'io? (così per dire, non ho le ali!) @ alberto guidorzi: a parte che finalmente ho trovato qui qualcuno che ha qualche anno più di me (incominciavo ad avere dei complessi), sai che sei molto simpatico? e che miniera di notizie e aneddoti!

bleah !! arribleah !!! a me i gatti fanno schifo. Falsi, infingardi, inutili, la loro pipì puzza da vomito, hanno millesettecentocinquantamilioni di artigli per graffiare la povera umanità dolente. Li odio. Concorrenti temibilissimi, ++zzo!

@ laperfidanera Te ne racconto un'altra sul porcello.

Qunado ero bambino avevamo una famiglia di salariati di stalla che veniva dal basso veronese e ricordo che vi era il vecchio padre che radunava noi bambini in stalla per raccomntarci delle storie.

Una di queste era che il maiale anticamente aveva il muso a punta come gli uccelli e quindi si lamentò con il Padreterno per non aver ricevuto in dotazione le ali.

Tanto insisté, che il Padreterno si commosse e gli disse: vieni qui che te le faccio, però te le faccio di cera quindi attenzione a non volare in pieno sole.

Un giorno il maiale verso l'imbrunire cominciò a volare e volò così in alto che arrivò in Paradiso, estasiato dal luogo decise di fermarsi per la notte.

Al mattino seguente per ritornare si mise in viaggio un po' troppo tardi e quindi ad un certo punto col sole le ali cominciarono a fondersi e finì per precipitare. Inevitabilmente cadde a muso in giù e questo si schiacciò al punto tale che divenne il grugno che noi ben conosciamo.

Al maiale però rimase la convinzione che si fosse spezzata un pezzo di punta del suo naso e che fosse rimasto interrato, ecco perchè il maiale continua a scavare il terreno con il naso: cerca il pezzo perso.

@ Alberto: bellissima la storia del porcello! Ora ti racconto io una cosa che non è una storiella, è vera (astenersi deboli di stomaco). Qui in Canarias (sono sicura a Tenerife e al Hierro, ma penso anche le altre isole) lo stalletto dei maiali era posizionato esattamente sotto lo 'sfogo' del rudimentale cesso. Mentre da noi, ricordi di bambina, si dava al maiale lo scarto di cucina, le bucce di melone e anguria ecc., qui davano da mangiare gli escrementi umani! Se visiti l'antico villaggio di Guinea nella zona del Golfo,vedrai piccole costruzioni ovviamente esterne alla casupola, la cui 'porta' è solo una tela di sacco, che avevano esattamente queste funzioni. @ Franco Cifatte: so che stai scherzando per 'sfruculiare', ti perdono.

Scusami Dario ma mi aspetto qualcosa di meglio (vista la tua preparazione) Purtroppo la ossidazione è gia evidente nel frullatore, il piatto non lascia dubbi . al contatto con la pasta calda la polifenolossidasi si scatenerà facendo diventare le trenette marroni solo foglie ben lavate ed asciugate (nel gambo ci sono o no i fenoli ? ) eppure la prassi è ineccepibile ! Dario aiutaci tu ! anche un aiutino dall'acido ascorbico non pare sufficiente , non esiste nessuna altra "polvere magica " che ci puo aiutare ? saluti marco

marco: no, il colore piu' scuro e' dovuto al fatto che le foglie non erano giovani, e non essendoci il formaggio il colore non e' cosi' chiaro. Quel pesto della foto l'ho scongelato proprio in questi giorni ed e' rimasto di quel colore. Ho poi aggiunto il parmigiano (e quindi e' diventato piu' chiaro, anche se non come quello fatto con le foglioline giovani). Usato sulla pasta calda ti assicuro che non e' diventato marrone Io ho provato anche a scottare il basilico, ma molto aroma se ne va nell'acqua perche' gli oli essenziali sono conservati in piccole vescicole sulla superficiali. Per l'acido ascorbico, mah, temo che se ne debba usare un bel po' ma non ho mai provato.

Perdonatemi se mi inserisco, io il pesto lo faccio come descritto da Remo, tengo il più possibile gli ingredienti separati e poi frullo tutto con qualche cubetto di ghiaccio. Sono uno chef professionista e devo dire che questa tecnica snellisce molto la preparazione, non pregiudica il sapore e rende il pesto di un colore davvero brillante, pronto per essere utilizzato (la mantecatura a freddo è d'obbligo!!). Ovviamente a livello professionale entrano anche in gioco dei mixer molto più potenti di quelli casalinghi, il cui pregio è quello di scaldare pochissimo gli ingredienti... Uso il ghiaccio anche quando devo preparare dell'olio "verde" da guarnizione, immergo per qualche istante in acqua in ebollizione (salata) più ingredienti verdi (bucce di zucchina, foglie di basilico, prezzemolo, bieta), e metto in acqua, ghiaccio e sale per bloccare la cottura istantaneamente. Poi scolo il tutto, frullo con olio extravergine e 1-2 cubetti di ghiaccio. Il risultato è un olio molto delicato dal colore verde acceso! Avrei una domanda per lei, Dott Bressanini: Mi hanno sempre detto che il sale contribuisce a mantenere vividi i colori, è un'assurdità? Complimentissimi per il blog che seguo sempre con enorme interesse, ha tutta la mia stima.

ciao, vedo che siete tutti esperti. avrei per cortesia bisogno di sapere come scongelare i testaroli.

se vanno gettati in acqua congelati (è un blocco unico) oppure se li devo scongelare normalmente. cosa è preferibile ?

grazie mille per la risposta. se riuscite ne avrei bisogno per il primo pomeriggio. grazie Attilio

[...] Le ricette scientifiche: il pesto (quasi) genovese [...]

oggi mentre riflettevo sul rapporto fra design e colonialismo, ho trovato il modo per giustificare un ibridizzazione della ricetta del pesto alla genovese. ho sostituito con il basilico con una sua versione locale, credo tailandese. non sono sicura del risultato ma voglio provare.

postero' nel blog piu' tardi i commenti dei miei illustri ospiti. adesso vado ad eseguire la ricetta con il nuovo ingrediente, grazie per gli utili consigli. s.

Salve , ho letto che il pesto nei contenitori e messo nel freezer dura circa 6 mesi, personalmemnte sono più di 20 anni che faccio il pesto a fine luglio e dopo averlo messo in vasetti di vetro di circa 80gr. l'uno , lo uso per un anno intero e tutti hanno lo stesso sapore e colore fino all'ultimo vasetto ( ne faccio mediamente 70/75 per anno. i

So giá che si leveranno urla di sdegno, dichiarazioni solenni di dissociazione e acute osservazioni sulla mancanza di papille gustative che manifesto con la seguente domanda: ma io sono l'unico al quale il pesto alla genovese ha decomposto le gonadi?

Mi spiego; abito in Danimarca dall'85, e quassú (come, credo, nel resto del mondo, Italia compresa) questa salsa verde é diventata la conditio sine qua non del mangiar bene e raffinato, e in casi estremi del mangiare tout court. Viene spalmata su tutto, si salvano ormai soltanto dolci e gelati (ma di sicuro da qualche parte avranno cominciato a servire la panna cotta col pesto) e non si riesce piú ad andare al ristorante (a parte i ristoranti etnici di piú ortodossa tradizione) senza dover far notare all'atto dell'ordinazione che i piatti ordinati devono essere senza pesto, se non lo si vuole. Va da sé che la qualitá dei pesti serviti oscilla tra l'offensivo e il "buonino-ma-nulla-di-che" (con rare eccezioni, ovvio...) Insomma, a me, che pur lo amavo, il pesto alla genovese é venuto in uggia, spero con tutto il mio esofago che questa moda passi presto e che si ritorni ad un uso piú parco di questo capolavoro dell'italica inventiva. Certo, mi direte... "ma se non ti piace, nun lo magna' e vivi contento", e siamo d'accordo... solo... mi piacerebbe non dover sentirmi costretto a far notare al personale dei ristoranti che frequento, che non voglio pesto sui miei piatti...

Sono un rottorio di sfere, uno scassamembrivirili? Attendo con trepidazione il vostro illuminato parere.

Panco: anche mio figlio, dopo anni di uso e abuso continuo sulla pasta, non lo sopporta piu'

Grazie Dario.... mi sento meno solo!

Giustissima la precisazione che, quelle di Recco, sono "trofiette" e non "trofie". Però, proprio per essere precisi, quelle di Genova sono "troFFie", e non trofie.

Giusto! Verissimo! Troffie con due "f". Perfetto.

Ma cambia solo il nome o anche la ricetta ?

@ Dario, la ricetta di che cosa? Parli delle troffie e delle trofiette? Se sì, sono due cose del tutto differenti; l'ho scritto più volte anche sopra, in questo 3D. Non affatto uguali: diverse, totalmente diverse. Nome, ricetta e risultato.

Le troffie sono gli gnocchi, di farina e patata, puri e semplici. A Genova, in genovese, gli gnocchi si chiamano così, troffie. Non v'è altra dizione. Stop. E sono uno dei principali modi, per noi genovesi, per mangiare un piatto al pesto.

Le trofiette (io aggiungo "di Recco", perché la loro origine è del Levante) sono invece vermicelli di farina+acqua+sale, un po' a cavatappo, lunghi due-tre centimetri, che - pure loro - vengono condite col pesto, spesso con l'aggiunta di fagiolini. Dal vicino Levante genovese (tra Bogliasco e Chiavari, diciamo) sono passate diffusamente a Genova. E sono buonissime, eh! percaritàdiddio!

Però, confondere le due cose, le due paste, le due sostanze, è un errore; eppure è un errore diffusissimo, fatto proprio e trasmesso in giro anche da industrie produttrici di pasta, fresca o secca.

Dario mio, non c'è verso: quando un errore si propaga (e qui non si tratta solo di una questione di forma, di linguaggio, bensì di sostanza; come avrai capito) sembra quasi che la gente lo faccia apposta ad adottarlo e a spargerlo.

Dario, sono in attesa di approvazione.

quindi le troFie con una effe sola non esistono?

Ah ah, Dario, in dialetto genovese, no, le "trofie" non esistono: ha ragione "esp", in dialetto si devono scrivere con la doppia "f". Ma d'abitudine la pronuncia, nel parlare, non fa troppo avvertire il raddoppiamento. Sto discettando, ovviamente, della stessissima cosa. Trenky !

@ Dario & Franco Dalle mie parti, che si trovano comunque nel comune di Genova, usiamo 2 f anche per le troFFiette e, soprattutto, le troFFie si fanno con la farina di castagne e si possono condire con il pesto ma più spesso con panna fresca, stracchino e parmigiano. (Le troFFie di Franco le chiamiamo gnocchi e se siamo in errore, lo siamo da almeno cent’anni) Buon Natale a tutti.

@ ex-comm, anche a voler prescindere dalle battute facili, tu vivi nella periferia di Genova. Di quella tu parli. Quella che cent'anni fa non era neppure Genova in senso stretto. Quindi quel che dici non mi stupisce; e ne abbiamo già parlato in altre occasioni. A Genova-Genova si dice "troffie" da almeno centocinquant'anni. Documentatamente. E poi pensa che quella che per prima mi ha insegnato il Genovese era nata nel 1859 in Madre di Dio. Ti basta? E potrei continuare e rimarresti lì, perché tutti (cinque) i miei primi maestri di genovese erano nati nel cuore di Genova prima del 1875. E poi mio padre e mia madre....

Se ci mettessimo a discutere di come il dialetto varia da quartiere a quartiere della stessa Genova, non la finiremmo più. Pensa solo, per restare in tema, che "quasi solamente" in Genova-Genova si usa il raddoppio delle consonanti. Qui è "troffie", a Recco era (ed è tuttora) "trofie". Ma basta così con questo OT. Che Dario mi perdoni, visto che è Natale!

Verissimo: noi siamo genovesi solo dal 1929 (o giù di lì). Effettivamente, ancora oggi, piuttosto che dire "andiamo in centro" diciamo "andiamo a Genova".

Buon Natale. (ps è un gran piacere rileggerti).

Mi sono permesso di cimentarmi e citare.

http://dionisoo.blogspot.de/2012/08/le-ricette-scientifiche-di-bressanini.html

Salve Dario... Mi chiedevo... Il mio balcone è invaso da una vera e propria piantagione di basilico greco, profumatissimo ancora adesso, a fine ottobre. E' il frutto di piantine e semi portati dall'isola di Kos negli ultimi due anni. Le foglie hanno una forma pi allungata e sottile, quasi simile a quelle della menta piperita. Ai Greci non l'ho mai visto utilizzare in cucina, ma solo per formare immensi cespugli che delimitano case e taverne (sarà forse perché porta bene -dato scientifico!- e tiene lontano le zanzare? Boh, chissà!). Potrò utilizzarlo senza problemi per fare scorta di pesto, secondo te? O il fatto che la loro cucina non lo utilizzi mi deve far pensare? Ne sai qualcosa? Grazie in anticipo se vorrai rispondermi

Ho letto con interesse le varie proposte ed esperienze di preparazione del pesto genovese, senza però trovarne nessuna che ricordasse come si preparava in origine, ovviamente a Genova: con pestello e mortaio. Con questi attrezzi i tempi erano più lunghi, le quantità ottenibili erano minori, il basilico si ossidava e si anneriva un poco, ma gli altri ingredienti (aglio, pecorino e parmigiano, sale grosso e pinoli) non essendo tritati ma pestati assumevano una consistenza cremosa mantenendo però la loro corposità. Credo di avere ottenuto, con meno fatica ed in minor tempo, un risultato simile, ed evitando l'annerimento del basiico cosi facendo: ho pestato prima nel mortaio sale, aglio, pinoli e i due formaggi grattugiati; ho frullato soltanto le foglie di basilico, lavate ma non asciugate, con un poco di ghiaccio, come suggerito da alcuni; ho versato poi il basilico frullato nel mortaio amalgamando il tutto con il pestello; ho aggiunto l'olio solo alla fine.

E' quello qui rappresentato a cui tu ti riferisci?

http://www.ebay.it/itm/50-SEMI-BASILICO-Greco-a-Palla-/110936213916#ht_4587wt_939

E' dello stesso genere e specie del nostrano, ma la varietà è detta "minimum". Si può quindi benissimo utilizzare per fare il pesto

Io lo preparo col basilico del mio orticello, non sarà quello di Prà, ma.. il segreto credo sia solo nei ingredienti freschi

Sabato ho provato a fare il pesto col mortaio, avendo tanto basilico inizio a lavorarne una prima metà ed il risultato è veramente ottimo, ma una fatica!

Quindi vado di esperimento, e la seconda metà la faccio al frullatore per vedere se c'è differenza o no, naturalmente con qualche accortezza per non bruciare il basilico.

Risultato: ottimo in entrambi i casi! L'unica differenza è nella granularità, ma il gusto era indistinguibile

Il mortaio è affascinante come oggetto, ma decisamente poco pratico, meglio il frullatore!

Caro Dario, stavo per preparare del pesto per dei colleghi americani e non avendo (ancora) un mortaio (se non in lab, ma meglio evitare), mi è ritornato in mente questo tuo post. Vorrei fare una aggiunta a tutti i commenti: il migliore pesto mai assaggiato, sfruttando la tecnologia, è quello fatto con il pacojet. Sapore, colore e consistenza imbattibili! Ciao! Raff

Stasera ho fatto il pesto, e una volta pronto era di un bel colore verde brillante. Poi ci ho condito la pasta, fuori dal fuoco ovviamente. Ho notato che alla fine il pesto sulla pasta era diventato di colore scuro. Penso sia dovuto al calore trasmesso dalla pasta. Si può evitare tale fenomeno? E' possibile mantenere quel colore verde brillante anche quando il pesto viene in contatto con la pasta calda?

Potresti provare con un po' di E142

quando devo congelarlo, evito di mettere tutto l'olio di cui ha bisogno. Per questo lo sostituisco, parzialmente, con yogur naturale intero, che aiuta pure per frullarlo meglio. Non uso il sale, perchè lo preparo anche per i bambini, e se devo congelarlo neppure il formaggio. Resta di un bel colore verde, e finisco di condirlo quando lo uso

Olio d oliva aglio senza animella foglie di basilico appena tagliate e frullate il tutto con mixer proveniente dal freezer poi vi sfidò a riconoscere un pesto senza pinoli da quello con . Un saluto a tutti

Gentile Dario Bressanini, siccome lei è così preparato e autorevole e si parlava di pesto, mi consenta di sviare un po' su un altro PESTO, sempre genovese, quello di NOCI.

Cercavo informazioni sulla sua CONSERVAZIONE perché il BOTULINO fa paura e non riesco a trovare informazioni su internet..

L'ho fatto tutto vegetale ottenendo un composto piuttosto pastoso con latte di mandorle, origano, pepe, aglio, tofu, tanto olio e naturalmente noci... noci secche della mia terra che ho sgusciato con pazienza... tra le quali a volte capitano quelle coi vermetti o "lanugine bianca" che prontamente scarto...

Dunque se da un lato è vero che le noci sono più secche del basilico c'è comunque un latte che dà acquosità... magari è più acquoso, non so. è venuto piuttosto pastoso. So che il botulino si sviluppa in cibi acquosi immersi nell'olio..

C'è MAGGIORE RISCHIO di botulino o è come per il pesto di basilico? E soprattutto QUANTI MESI si può conservare in un barattolo nel congelatore?? Io ce l'ho da 3-4 mesi.

Sibios, ma perchè latte di mandorle e tofu nel pesto? Potresti farlo senza questi due ingredienti e poi il formaggio lo metti al momento, così c'è più sicurezza.

Le spore di Clostridium botulinum stanno nella terra. La congelazione e sicura perche la batteria non puo moltiplicarsi con il ghiaccio. Una volta scongelato il pesto, c’e da consumarlo pronto. La presenza di Clostridium botulinum non e un indicatore sicuro de la presenza delle sue tossine, che sono mortali. Nelle conserve, ci si puo trovare a volte le tossine botuliniche, perche la esterilizazzioe non matta alle spore di Clostridium botulinum. Duncque, dopo la esterilizazzione, queste spore germinano e hanno molto da mangiare, produscono tossine e le persone se intossicano con questo baratolo. E raro pero difficile da controlare. Como dice Wikipedia, “Si tenga presente che i cibi inscatolati dall'industria non sono totalmente sicuri. Infatti si sono verificate delle tossinfezioni alimentari a causa di cibi contaminati, quali il paté di fegato in scatola, un formaggio di tipo ignoto, il pesce affumicato tipo ghiozzo, e il tonno in scatola. Mentre i ceppi di tipo A, B e C scindono le proteine e quindi fanno putrefare il cibo rendendolo sgradevole, il ceppo di tipo E non elabora enzimi proteolitici e i cibi possono avere un aspetto e un sapore gradevole, pur contenendo elevate quantità di botulino.”

La variazione di ingredienti di Sbiobs non dovrebbe aumentare il rischio di botulismo, giacche e molto improbable con la congelazione. I prodotti piu rischiosi per il botulismo sono le conserve industriali o casalinghe. Perdonate l’italiano principiante.

Provero oggi i trucchi al fin che il mio pesto non diventi nero...

Il pesto mi e venuto verde oscuro, pero definitivamente piu verde che nero. Il problema e che uso basilico del mercato, un po vecchio e gia con alcune strisce nere. Grazie mille.

Salve Dario, Grazie per avere scritto questo interessante articolo sul pesto. L'ho linkata sul mio blog (in inglese), riportando i suoi preziosi suggerimenti. Grazie ancora!

Caro Dario, ho mangiato tutti i pesti del mondo fatti con distinte tecniche, ma senza nessuna comparazione con quello che faceva mio zio Gioacchino, cuoco di bordo, palermitano cresciuto fra genovesi. Lo faceva su un tagliere con un coltello: tritava basilico e una parte di prezzemolo con l'aglio, dopo incorporava olio di oliva e un momento prima di scolare la pasta bollita con una patata in fettine, aggiungeva il formaggio grattuggiato. Rimaneva sempre verde brillante e saporito. Niente di frullatori o altre macchinette, a mano, a puro coltello. Io seguo con il método dello zio, infallibile! Un cordial saluto, Pasqualino Mar del Plata, Argentina

Pasqualino Marchese Direi però che il sapore diverso del tuo pesto dipende principalmente dagli ingriedienti: nel pesto alla Genovese non si usa il prezzemolo e ci sono invece i pinoli.

Cortesemente qualcuno può indicarmi le dosi degli ingredienti ? Grazie.

Salve a tutti. Ho apprezzato i consigli che ognuno ha lasciato sul blog ma infine vi chiedo due cose che secondo me sono importanti: la prima di tutte quale marca di frullatore è più indicata quale scalda meno se influisce il numero di giri e la presenza di pale in plastica. Naturalmente la domanda è rivolta a tutti , ma forse sopratutto a chi ha sollevato il problema del mixer adatto cioe a Bluescook. Infine le dosi quanto più esatte possibili. Grazie in anticipo.

Oggi ho saputo che purtroppo il nostro amico Franco Cifatte non è più tra noi. Negli anni, come tantissimi altri di voi, ha contribuito a rendere questo blog un luogo accogliente per discussioni di ottimo livello tra amici. L'articolo sul pesto genovese, con tanti suoi contributi nei commenti, mi è sembrato il luogo più adatto per dirlo e ricordarlo. Ciao Franco.

Sono sempre i migliori che se ne vanno per primi ...

Dario, il Franco Cifatte è stata l'unica persona che ho conosciuto qui nel tuo blog e che ho frequentato attivamente al di fuori del medesimo: una persona di una simpatia e una umanità uniche. Tutta la sua terribile malattia si è rivelata e svolta molto rapidamente e lui l'ha affrontata in modo che definire eroico non rende giustizia. Grazie a te per averlo ricordato qui.

che dire... mi sono riletta tutta la nostra discussione su gnocchi, troffie e trofiette e mi sono detto che sì, Franco ha veramente contribuito a creare un clima di amicizia nel blog.

Bruschetta di pomadora e fungi ripiene

l’Arborio? Mai mangiato, e forse neanche il Carnaroli

La scienza del caffè con la Moka

Riflessioni di uno scienziato divulgatore. Parlare ai biodinamici

Respira di più e i chili vanno giù

Due o tre cose che so della meringa italiana

FOOD. La scienza dai semi al piatto

Le ricette scientifiche: la crema pasticcera più veloce del mondo

Perché non possiamo non dirvi antiscientifici

La chimica del bignè - The movie

La scienza della pasticceria, o della chimica del bignè

Il mio problema con Greenpeace

Mettiamo dei (cavol)fiori nei nostri micro. (3)

Mais OGM: un bigino per i neoministri

Omeopatia non è curarsi con le erbe. Omeopatia è diluizione

Quanto sono esperti i giudici “esperti” assaggiatori di vino?

Lo zucchero più costoso al mondo

Quel microonde (impropriamente) chiamato forno. (1)

La bufala della dieta alcalina

Ma il vino biodinamico è buono?

Uno studio sul vino biodinamico

Patate viola e cavolfiori rosa

Buon estratto di Natale a tutti

Le ricette scientifiche: l'estratto veloce di vaniglia

Dieci VERO o FALSO sul biologico

Vedere gli atomi con la mente. Una storia in molto piccolo

Le parole sono importanti (consigli ad aspiranti divulgatori #2)

Perché ci piacciono i sapori che ci piacciono?

Le tre fasi del sorbetto

Il Made in Italy contaminato dagli OGM

Consigli non richiesti a giovani scienziati aspiranti divulgatori

Vino e biodinamica. The movie

Che ne sai tu di un campo di Kamut®

Le ricette scientifiche: la cacio e pepe

Consigli di lettura a Beppe Grillo e al Ministro De Girolamo

Il glucosio: diffusissimo ma poco noto

Mangia cioccolato e vinci il premio Nobel

Meringhe di latte e riduzionismo gastronomico

Le ricette scientifiche: liquorino di liquirizia

L'origine della Carbonara. Il commissario Rebaudengo indaga

Darwin e l'innaturalità del bere latte

E per chi al Festival della Scienza non c'era...

Le ricette scientifiche: la meringa svizzera

Miti culinari 8: le patate conservate diventano tossiche

Le ricette scientifiche: l'estratto di vaniglia

OGM: la Corte di Giustizia UE boccia il Ministero

Pasta alla bolognese e altre storie

Sapori di montagna: i Rundit

Scienza in Cucina in video

Le calorie contano, non le proteine

L'agricoltura biologica non sfamerà il mondo

Cubici e trasparenti. Cristalli di sale (5)

Le ricette scientifiche: mascarpone fai-da-te

Il triticale, un OGM ante litteram

Miti culinari 7: ossidazione e coltelli di ceramica

Sui grumi della farina e dell'amido

le Ricette Scientifiche: la besciamella

Di cibi acidi, alcalini, e meringhe colorate

Chiamate Striscia la Notizia! I piccoli cuochi molecolari!

Francesco Sala, l’eretico degli OGM italiani

Zero Chimica 100% Naturale. Sì, come no!

Il sale di Maldon (homemade). Cristalli di sale (4)

Il peso del sale. Cristalli di sale (3)

Cristalli di sale (2): quanto sale si scioglie nell’acqua?

Il ritorno di Pane e Bugie: il difficile compito di raccontare la scienza

Pericoli dal cibo: ora tocca ai meloni

Non toccate l’omeopatia (e la multinazionale Boiron)

Quanti gradi nel mio vino? (Con quiz)

Ancora sul ragù alla bolognese

Le ricette scientifiche: il ragù alla (quasi) bolognese

Le ricette scientifiche: il tonno scottato ai semi di sesamo

Paperino eroe per caso della chimica a fumetti

I giochi matematici di Fra’ Luca Pacioli

Vaniglia III: tra vaniglia e vanillina

Biodinamica®: cominciamo da Rudolf Steiner

Uve da vino: una grande famiglia

Le ricette scientifiche: il pesto (quasi) genovese

Il caso del pomodoro di Pachino

Il burro di cacao e l’etichetta del cioccolato

Saluti gastronomici dalla Sardegna: sa fregula

Le ricette scientifiche: il Dulce de Leche

Pesce di mare e di acqua dolce

Sapori d’alpeggio III: mirtilli

Neurogastronomia: il vino costoso è più buono?

Politeisti alimentari (secondo il Censis)

Il matrimonio tra pesci e acidi

Mangia (troppo e male) e poi muori

Appunti di viaggio – la carne

Sfida agli Chef. Un ingrediente in cerca di ricette

Agar, una gelatina che viene dal Giappone

Saluti gastronomici dalla Val d’Orcia

Il Senatore Cappelli e gli altri grani di Nazareno Strampelli

Amflora, la patata per la carta

I detective della mozzarella di bufala

Il Ministero della salute vieta il lievito istantaneo. Ok all’azoto liquido

Dieci risposte a Carlo Petrini sugli OGM

Via libera al mais OGM dal Consiglio di Stato anche senza piani di coesistenza

Arance anticancro e diete vegetariane

OGM: più che lo Slow poté il Fast Food

Che cos’è naturale. 1 – Atomi smemorati

Il Conte Rumford e la cottura a basse temperature

Un pranzo di Natale per sei persone con due capponi e 12 lire

Come l’acqua con il cioccolato

Tutti i gradi del peperoncino

Un OGM buono, pulito e giusto

Cosa (non) mangiavano gli italiani una volta

Un menù di 75 anni fa: Ottobre 1934

Un (vino) Primitivo in California

Norman Borlaug, l’uomo che ha nutrito il mondo

Appunti di viaggio – al supermercato (3) ortaggi

Appunti di viaggio – al supermercato (2)

Appunti di viaggio – al supermercato (1)

Le ricette scientifiche: il gelo di mellone

Appunti di viaggio: agricoltura, bio e non

Appunti di viaggio: la pizza

Quattro chiacchiere su alimentazione e chimica

Un esperimento con liquidi ed emulsioni

Gelato OGM. Ma quando mai! Anche il formaggio allora…

Miti culinari 6: lo zucchero veleno bianco

Le ricette scientifiche: la pita all’acqua gassata

Bicarbonato, lievito chimico o baking soda?

Il finto scoop di Striscia la Notizia

Saluti (gastronomici) dalla città eterna, con tanto di (a)matriciana

Miti culinari 5: le virtù dello zucchero di canna

Sulle proprietà endocroniche della Tiotimolina risublimata

Il bollito non bollito di Massimo Bottura

OGM: le ragioni di chi dice no

Il poeta e lo scienziato

Gastronomia darwiniana. Se è speziato, un motivo c’è

Le difficolta' del pane biologico

Il vino di Luca Pacioli

Le ricette scientifiche: il pollo Teriyaki

OGM: il ritorno di Schmeiser

Le ricette scientifiche: il maiale alla birra

Il glutine: chi lo cerca e chi lo fugge

Miti culinari 4: il cucchiaino nella bottiglia

Le ricette scientifiche: lo spezzatino base

Il buon latte crudo di una volta

Gli Ogm NON sono sterili, passando da Vandana Shiva (e Veltroni) a Nanni Moretti

BioWashBall, birra e l'esperimento di controllo

Pentole e Provette, la chimica ai fornelli

Che cos'e' lo zucchero invertito

Il Ministro Gelmini e Nature (contro i concorsi)

Il Fruttosio, lo "zucchero della frutta"

1934: sigillatura della carne e riviste d'annata

Ricette letterarie: il risotto di C. E. Gadda

Le ricette scientifiche: il guacamole

Ig Nobel italiano per il suono delle patatine

Monsanto contro Schmeiser, l'agricoltore "contaminato" dagli OGM

Le ricette scientifiche: la granita (algebrica)

Il diagramma di fase della granita

Il buco nero al CERN e la noce moscata

Chimica (e ricette) in versi

Le ricette scientifiche: il cioccolato Chantilly

Le ricette scientifiche: la panna montata

Contro la "spesa a chilometri zero

Requiem per una formula. Dramma in sei atti con sei personaggi

Vino al veleno e velenitaly, reprise

Un economista al (super)mercato

Chiarificare l'impossibile con i filtri molecolari

Non si butta via niente 2

Le ricette scientifiche: la carbonara

Miti culinari 3: la sindrome da ristorante cinese

Le ricette scientifiche: le meringhe

Miti culinari 2: il sale per montare gli albumi

La dolce neve della cucina

Quando Nature si occupa dell'Italia

Non si butta via niente

Mais, Micotossine e le "Precauzioni"

Al sangue, media o ben cotta?

Superboy e la camera a nebbia

Un uso alternativo per la Ketchup

Miti culinari 1: la sigillatura della carne

Il segreto di una buona bistecca (ma non solo) si chiama Maillard

L'OGM che non é mai esistito

Sei diventato Nero, Nero, Nero...