Dagli agnolotti ai tortellini, tutte (o quasi) le forme della pasta ripiena

2022-06-25 07:15:55 By : Mr. Jacob Liu

Tortellini, ravioli, agnolotti, gulorgiones e tortelli – primi appunti per una piccola enciclopedia del gusto

Forse ciò che più ci accomuna in quanto italiani non è la dimestichezza con la lingua del sì ma la capacità di distinguere miriadi di formati di pasta, un po’ come gli eschimesi che riconoscono quaranta diversi tipi di neve – e come loro finiamo per apparire pazzi agli occhi di un gran numero di stranieri. Trovo necessaria questa premessa nel momento in cui mi metto a scrivere un articolo sulle caratteristiche dei diversi tipi di pasta ripiena, un gesto folle che richiederebbe un’intera enciclopedia, lo so. Lo so ma tento, mettendo le mani avanti: il mio elenco è largamente incompleto e mi concentrerò soprattutto sulle tipologie più note. Dunque, andiamo a sbirciare in questo mare di squisitissimi origami.

In una lista così, potrei non partire dai tortellini? Alt, so bene che se provenite dalla zona d’elezione di un’altra pasta ripiena direte di sì, e invece credo che almeno su questo punto possiamo ormai concordare, anche perché decido io: si parte da qui, da questo minuscolo nodo di pasta all’uovo ripiena e dalle zone di Bologna e Modena. Il nome tortellino deriva ovviamente dal temibile tortello, il blob multiforme che offre infinite manifestazioni in ogni recesso del nostro trasandato Bel Paese. Tortello a sua volta viene inevitabilmente da torta, il che ci porta ancora più lontano: torta salata, va da sé, e quindi ripiena ma piccola. E ancor più piccolo è il tortellino le cui prime tracce risalgono addirittura a una pergamena del 1112, oltre che a una bolla di Papa Alessandro III del 1169. Da tempo immemore protagonisti dei menu natalizi – lo storico Alessandro Cervellati fa risalire questa tradizione alla Bologna del XII secolo – i tortellini vengono da sempre serviti in brodo. Vi dicevo che mi sarei concentrato sulla forma di queste paste ripiene, e la storia della foggia dei tortellini è deliziosa quasi quanto loro. La leggenda vuole il piatto nascere in Castelfranco Emilia – giusto a metà tra Bologna e Modena, la posizione è perfetta – e si deve alle mani dell’oste della locanda Corona, che sbirciando dal buco della serratura le incantevoli sembianze di una nobildonna sua ospite, e restando colpito in particolare dalla perfezione del suo ombelico, corse in cucina a riprodurlo in una sfoglia a base di uova e farina, riempita con un ripieno di lombo di maiale, prosciutto crudo, mortadella di Bologna, Parmigiano-Reggiano, uova e noce moscata.

A Valeggio sul Mincio, in provincia di Verona, c’è una variante davvero interessante dei tortellini – dall’aspetto lievemente più vezzoso, sembrano finire quasi in trine e mostrano inoltre una sfoglia sottilissima (ché sembra fatta di niente) – varia in questo caso anche il ripieno e l’uso di servirli asciutti, con burro e salvia.

Cambiando scenario – si tratterà assai spesso di girare su e giù per la pianura Padana, ma non solo… – e contempliamo i cappelletti, e sulla foggia in questo caso ci viene molto in soccorso il nome: sembrano piccoli cappelli, ma non cappelli qualsiasi, a me fanno venire in mente quei copricapo vistosi di certi preti usciti da un qualche film di Fellini. Questa forma si ricava tagliando la sfoglia di pasta in quadrati, al centro dei quali viene posto il ripieno. La pasta a questo punto è piegata per due volte a forma di triangolo, avendo cura di far incontrare le due estremità. Rispetto ai tortellini, oltre all’aspetto, cambia la grandezza – i cappelletti sono un po’ più grandi – e varia pure il ripieno. Provateli in brodo di cappone, magari a Reggio Emilia.

Con i cappellacci di zucca voliamo nella zona di Ferrara e in particolare alla corte estense, dove pare siano nati. Prima di arrivare a questo fatemi dire qualcosa sulla loro forma, malgrado il nome non sono poi così simili ai cappelletti (anzi!), e a dirla tutta riproducono in modo abbastanza fedele la foggia di un certo tipo di cappelli realmente esistenti: mi viene in mente un po’ il berretto di Robin Hood, ok, ma sostanzialmente sono minuscole feluche (tradizionalmente il termine cappellaccio, in ferrarese caplàz, si riferirebbe a un particolare cappello di paglia, tipico dei contadini di un paio di secoli fa). In ogni caso la prima testimonianza della loro esistenza si trova nel ricettario di Giovan Battista Rossetti: siamo nel 1584, durante il regno del duca Alfonso II d’Este.

Gli agnolotti piemontesi sono un tipo di pasta piccolissimo, che deve la sua realizzazione al lavoro alacre di minuscoli gnomi pastai che – grazie a condizioni di lavoro vantaggiosissime, strappate con trionfali lotte sindacali (Parmigiano, prendi nota) – riescono a produrre questo formato di pasta grande come un bottone e dalla forma abbastanza oscillante, per di più però a metà tra un raviolo e un tortellino. La forma tradizionale in realtà è a base quadrata (per l’appunto come i ravioli), col ripieno racchiuso da due sfoglie di pasta all’uovo, e si distingue oltre che per l’aspetto dal ripieno: in questo caso fatto di carne arrosto. Particolarmente noti e apprezzati sono gli agnolotti della zona delle Langhe e del Monferrato, i celebri agnolotti del plin, ancor più piccoli degli altri e col nome che rimanda al pizzicotto che addirittura delle mani di gnomi pastai abbisognano per chiuderli.

Uno dei (tanti) nodi gordiani nella realizzazione di questo articolo è il paragrafo relativo ai ravioli, mica per i ravioli in sé, ci mancherebbe, ma per quelle che immagino essere le migliaia di variazioni che lo Stivale sa offrire di un formato tanto classico e duttile. Del resto se a citarli per la prima volta è il Decameron di Giovanni Boccaccio (“… niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli e cuocergli…”), non ci resta che levarci il cappello (scegliete voi se cappelletto o cappellaccio) e riconoscere un’heritage letteraria che mette i ravioli nel Gotha mitologico pastafariano sin dal Medioevo (sebbene il pastafarianesimo esista solo dal 2005). La loro principale caratteristica è quella di non essere una normale pasta all’uovo, quanto invece di risultare più leggeri, grazie a un impasto in cui c’è molta più acqua e farina che, appunto, uova. Sono molto versatili, coi ripieni che spesso finiscono per accogliere anche pezzi di pesce e frutti di mare ma a dire la verità un’altra loro antica caratteristica vorrebbe che a sovrastare gli altri ingredienti nel ripieno siano le verdure. Che forma hanno? A me ricordano un comodo cuscinetto.

Per una volta allontaniamoci almeno un po’, prendiamo un bel veliero e sbarchiamo nella spiaggia sarda che preferite, ci aspettano i culurgiones – dominando la tradizione culinaria isolana, non importa molto la provincia di approdo. Anche se è pur vero che nel borgo di Ulassai, fino agli anni Sessanta la tradizione comandava che questo tipo di pasta fosse consumato solo il 2 novembre, ovvero il giorno dei morti – in quel caso nell’impasto finiva il grasso ovino (culurgiòni de ollu de seu); mentre per festeggiare il carnevale (ma non a Ulassai), si impastavano con lo strutto (culurgioni de ollu de procu). In tutta l’Ogliastra e nei paesi di Sadali e Esterzili della Barbagia di Seulo, i culurgiones non sono solo un alimento ma un dono prezioso, nonché un amuleto in grado di proteggere dai lutti. La caratteristica che spicca immediatamente all’occhio è l’elegantissima chiusura in forma di spiga, Sa spighitta, che rimanda esplicitamente al grano – un altro momento chiave dei culurgiones è infatti la festa del ringraziamento alla fine del raccolto. C’è una certa varietà nell’interpretazione del ripieno che però fondamentalmente è a base di pecorino, patate e aromi vegetali (“menta e/o aglio e/o basilico e/o cipolla” – recita testualmente il disciplinare per la produzione filologica di quelli ogliastrani, che mi sono appena andato a vedere).

Così, un po’ alla chetichella, come niente fosse, siamo nei paraggi di un altro vero e proprio mostro di questo videogioco, a portarci in questa zona è stato – zitto zitto – il ripieno a base di patate. Siamo finiti nei pressi dei tortelli e quindi, amici miei, delle loro infinite variazioni. Siccome questa non è un’enciclopedia citerò appena qualche esempio, so che quelli che fanno al paese vostro sono migliori, non ne discuto, figuratevi – fate finta che vengo da Marte e che per puro caso sono venuto a conoscenza di questi che cito qui. E poi in teoria qua dovrei parlare più che altro del loro aspetto, che è sostanzialmente quello di cuscinetti orlati con pizzo di Burano, di solito rettangolari, quadrati o molto più raramente tondeggianti.

Per me lo standard è rappresentato dai tortelli mugellani, il cui ripieno, oltre che di patate (rigorosamente del Mugello) è composto da aglio, prezzemolo, sale e noce moscata, mentre per l’impasto si usa una miscela in cui prevale la farina di semola e, in parte minore, la 00.

Credo sia arrivato il momento di rivelare ai miei amici maremmani che la loro versione dei tortelli meriterebbe un appellativo proprio, il generico tortello non rende giustizia alla loro irragionevole vastità. Sono infatti grandi quasi quanto il piatto, di solito rivelandosi in forme con almeno 10 centimetri di lato. Chiamateli per lo meno tortelli giganti, anche per un fatto di marketing – fatevi furbi. Quello maremmano – da oggi: il Gigante – è un tortello abbastanza standard per quanto riguarda il ripieno, covando al suo interno ricotta, spinaci e un pizzico di noce moscata (ne esiste anche una curiosa versione dolce però, in cui al ripieno viene aggiunto lo zucchero), ma è appunto unico per le dimensioni: a me ricorda una borsa dell’acqua calda.

Anche per questioni diplomatiche, mia moglie è versiliese, ma pure perché rappresentano una variazione decisa rispetto all’ideal-standard del tortello, non posso non citare i tordelli versiliesi (notate amici maremmani, con quella “d” in Versilia sono riusciti a dare un nome indistinguibile alla loro interpretazione). Per quanto riguarda l’aspetto i tordelli somigliano a delle piccole granate, intendo le bombe, e con piccole intendo un po’ più piccoli delle granate vere e proprie, già che in verità tra i formati di pasta ripiena hanno le spalle abbastanza larghe. Altra caratteristica a renderli piuttosto unici è il ripieno ricchissimo, davvero da festa, dato che miscela al suo interno: manzo, pollo, bistecche di maiale, mortadella, uova, parmigiano, aglio e prezzemolo.